Tocca a Monti iniziare a tagliare

Nella Prima Repubblica nessuno ha mai dubitato che i partiti cosiddetti democratici fossero finanziati illecitamente dal sistema delle partecipazioni statali ed il Pci da quello dell’intreccio tra cooperative ed amministrazioni locali di sinistra . Quello che agli occhi dei giustizialisti della prima metà degli anni ’90 sembrava un mistero finalmente svelato era , in realtà, un dato strutturale lasciato in eredità dalla guerra fredda e dal compromesso sostanziale con cui le forze politiche italiane avevano attraversato il lunghissimo dopoguerra del nostro paese.
Si trattava, ovviamente, di un dato strutturale deviato . Che una volta emerso ufficialmente e denunciato con la massima enfasi avrebbe dovuto essere rapidamente corretto.
Nel momento in cui la Seconda Repubblica entra in crisi ci si accorge, invece, che quel dato deviato è ancora strutturale. Che tutti i partiti dell’arco cosiddetto democratico hanno continuato, da Tangentopoli ad oggi, a finanziarsi tranquillamente attraverso le ultime grandi aziende pubbliche , quelle che fanno capo a Finmeccanica. E che , come dimostra fin troppo chiaramente il caso penati, il maggior partito della sinistra erede della tradizione comunista , non ha messo un solo istante di trarre alimento solo dal sistema delle cooperative alimentate dalle amministrazioni locali . Con un aggravante comune. Che dalla metà degli anni ’90 ad oggi è anche esploso in tutte le città ed i paesi italiani il fenomeno del “ mattone “ al servizio della politica . Cioè della speculazione nel settore edilizio , che non riguarda solo le abitazioni private ma le grandi strutture come i centri commerciali , realizzata per finanziare non solo e non tanti i partiti quanto le centinaia e centinaia di singoli componenti del ceto politico nazionale senza distinzione di  colore e collocazione.
Il caso Finmeccanica è dunque come il caso Penati. Non è la spia di un fenomeno da scoprire ma è la dimostrazione di una degenerazione fin troppo nota . Che va sicuramente combattuta sul terreno giudiziario ma che , come Tangentopoli insegna, non può essere debellata dalla sola azione della magistratura. Se il difetto è strutturale,  il rimedio non può non essere strutturale. L’arma giudiziaria può aiutare ma quella decisiva deve essere necessariamente quella della politica. Cioè di una grande riforma tesa ad impedire una volta per tutte l’intreccio tra ceto politico ed affari, tra partiti e società pubbliche, tra amministrazioni locali ed aziende che vivono solo di appalti e di commesse dello stato.
Naturalmente nessuno si illude che l’operazione sia semplice. Che basti proclamare la necessità della separazione tra politica ed affari per vederla realizzata. Perché l’intreccio è forse talmente fitto da risultare inestricabile ed irriformabile.
Ed allora? L’unica strada possibile , visto che colpire il mondo dell’impresa significherebbe segare il ramo su cui si è tutti seduti, è di cercare di svuotare progressivamente il ceto politico ormai abituato ad utilizzare il pubblico per il finanziamento dei partiti o ( da quindici anni a questa parte in maniera più massiccia) per l’arricchimento personale.
Si tratta, in sostanza, di ridimensionare drasticamente il ceto politico con una riforma istituzionale destinata a ridurre non solo i componenti degli infiniti centri di potere e di spesa che rappresentano le metastasi dello stato burocratico-assistenziale ma anche a tagliare gli stessi centri di potere e di spesa.
Il governo tecnico di Mario Monti ha l’occasione di compiere ciò che non è stato neppure tentato dai governi politici che lo hanno preceduto. Non si occupi solo di reintrodurre l’Ici ma si faccia anche carico della necessità di colpire al cuore il meccanismo del malaffare smantellando le strutture e rimuovendo gli uomini che lo producono. “ Vasto programma”, come avrebbe detto De Gaulle ? Sicuramente si. Ma una volta si deve pur incominciare !

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